mercoledì 18 novembre 2009

Liberi di insultare?


Arrivato a Roma, che resta in fondo la capitale della cristianità, Gheddafi non ha staccato il crocifisso dal muro. A quello ci pensa l'Europa. Lui ha preteso di identificare chi vi è stato inchiodato. Dicendo: «Non è Gesù, non è mai stato Gesù». «Era un sosia, uno che gli assomigliava», ha predicato con solennità. Per citare l'agenzia Ansa si sarebbe espresso così: «Voi credete che Gesù è stato crocifisso ma non lo è stato, lo ha preso Dio in cielo. Hanno crocefisso uno che assomigliava a lui». Ma non solo: «Gli ebrei hanno cercato di ammazzare Gesù perché lui voleva rimettere sulla via giusta la religione di Mosè».
Insomma: Gesù è un profeta dell'Islam, e sarebbe una specie di vigliacco che scappa in braccio a Dio per non farsi mettere a morte dagli ebrei, lasciando che sia un altro a soffrire per lui. La nostra idea, forse la nostra speranza, è che ieri a dire queste bestialità beduine non sia stato il vero Colonnello ma un suo sosia. Una pratica molto nota tra i capi musulmani. Saddam Hussein ne aveva una dozzina, è stato scritto un bellissimo libro sul tema da Martin Amis. Probabile ne abbia anche Gheddafi, ma la prossima volta li scelga più intelligenti, e anche più rispettosi delle persone e del luogo dove va a pontificare.
La storia, per le persone cui fosse sfuggita, è questa: il capo del popolo libico, a Roma per il vertice della Fao, ha fatto rastrellare duecento ragazze alte e belle, vestite in modo castigato. Ha donato a ciascuna una banconota, poi ha cercato di convertirle. Da noi, nei Paesi occidentali, non è vietato: c'è libertà religiosa e anche di proselitismo. Ma da noi c'è anche il diritto di critica. E per il momento abbiamo anche il diritto alla difesa della Bibbia e in essa del Vangelo.
Stiamo un attimo sul punto. Quella della crocefissione di un Sosia, non è una trovata del leader libico, è una affermazione che sta scritta nel Corano. Il quale fa di Gesù un Profeta, ma nega l'essenziale su di lui, lo mangia e lo digerisce per il comodo di Maometto, che voleva sostituire la Rivelazione cristiana con la sua. Legittimo, da noi c'è libertà di religione. Ma il fatto che il rappresentate di un popolo convochi, con 50 euro di mancia al netto delle tasse, cento ragazze italiane per indottrinarle, senza diritto di replica, è qualcosa che se fosse stato fatto - a parti rovesciate - in Arabia o in Libia, il predicatore non sarebbe vivo. Se ad esempio, alla Mecca (che corrisponde più o meno a Roma per l'Islam) Berlusconi andasse a sostenere che Maometto sposando una bambina di nove anni ha violato l'infanzia, sarebbe stato decapitato come minimo, più probabilmente lapidato.
Noi ci ricordiamo bene quando, con il pretesto della maglietta con la vignetta su Maometto indossata dal ministro Calderoli, per poco non si dichiarò guerra all'Italia e fu assaltato il nostro consolato a Bengasi. E quella maglietta era assai delicata rispetto alla negazione ostentata, nella Roma di Pietro, della verità storica sulla passione e sul Calvario. Una specie di insensato negazionismo. Finché resta nei confini delle moschee ed è esposto da semplici imam, offende la nostra comunità e la nostra tradizione, ma ci sta, amaramente ci sta: è il prezzo della tolleranza e della libertà. Ma un capo di Stato non può abusare della sua intangibilità di ospite nonché di detentore del gas e del petrolio. Esistono dei doveri di civiltà, anche fra i beduini in visita, e conviene che qualcuno li ricordi al leader Gheddafi.

Il nostro governo fa bene a cercare buoni rapporti con la Libia. La Libia deve fare anch'essa un passettino per averli buoni con noi. Il primo modo è di rispettarci, o almeno di fingere di farlo, sarebbe già qualcosa.
Sintetizzo le ragioni per cui stare in pace con la Libia e il suo leader.

1) La questione di un'amicizia forte tra Paesi mediterranei, a partire da Tripoli, ci rende interlocutori seri per la pace in Medio Oriente.

2) L'importanza di una cooperazione italo-libica nella lotta al terrorismo e per lenire ferite coloniali è ovvia ed ha aspetti di alta moralità.

3) La necessità di contenere l'immigrazione clandestina dalle coste della Tripolitania e di avere certezze nell'approvvigionamento energetico è prioritaria e indiscutibile.

4) Il criterio universale della tolleranza impone di accettare la diversità nella concezione della democrazia e della religione di un leader come Gheddafi;

5) Questi buoni rapporti rendono più efficaci le nostre pressioni per l'affermazione in Libia dei diritti umani. Ma non ci sono prezzi, il senso della decenza non è in vendita. Non si può far passare per stravaganza l'offesa cosciente di Gheddafi. Egli colpisce il sentimento profondo del nostro popolo, quel Cristo in croce a cui è affezionata anche la gente che non crede sia Dio.
Ma a cui dà fastidio sentirsi dire a casa propria che quel Gesù esposto sulla Croce il Venerdì Santo e che sta sul petto delle nostre mamme e nonne è un trucco. Chieda scusa Gheddafi, se vuole gli siamo amici. Non si fa terrorismo religioso. È un delitto.

P.S. A proposito di dialogo e di presunte offese. Qualcuno ha giudicato le dichiarazioni di Daniela Santanchè su Maometto pedofilo inopportune perché si scontrerebbero con comportamenti altrettanto inaccettabili di personaggi biblici. Perfetta ignoranza. La vita di Maometto e il Corano sono Parola di Dio immutabile, esempio perenne, consacrazione di Verità e di Etica, non suscettibili di critica. Invece la Bibbia per i cristiani (e gli ebrei) è ispirata da Dio, è il racconto di come Dio interviene nella storia, scritto da una mano umana. La Parola è Cristo stesso. Invece il Corano e il suo racconto è un ordine. E lì c'è la differenza grande. Al di là dei comportamenti egualmente deprecabili di tanti cristiani e di tanti musulmani, la differenza sta nel manico. L'Islam è stato fondato e ha per paradigma un uomo che ha versato il sangue degli altri. Gesù Cristo ha versato il suo per gli altri. Che Gheddafi venga a negare questo, e per di più a Roma, e per giunta abusando della nostra ospitalità e sputando addosso a ragazze inermi le sue bufale islamiche, è grave. Speriamo sia stato un Sosia.
Articolo di R. Farina

lunedì 9 novembre 2009

solo i crocifissi? e perchè non il Natale?

La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ordina all'Italia di staccare i crocifissi dalle classi è un passo in avanti verso l'affermazione della laicità dello Stato. Finalmente si pone un freno alla violazione della libertà religiosa e della libertà di non professare alcuna religione.

Però, e mi stupisce che una Bonino, un Rodotà o un Odifreddi, oggi non ne parlino, è chiaro che siamo ancora all'alba.

Questa sentenza non basta. È una goccia nel mare e impone a tutti di affrontare una volta e per tutte problemi seri e improcrastinabili.

Il Natale, per esempio. Come si può nel 2009 continuare a vessare bambini e adulti imponendo loro come festività collettiva una festività religiosa? Non basta certo vietare il presepe nelle scuole, come già qualche solerte preside ha fatto. È ora di abrogare questa festa. Se la festeggino i cristiani a casa loro.

Se poi vogliamo salvaguardare il diritto alle ferie di tutti, allora per lo meno cambiamole il nome in “Giornata transnazionale dello scambio dei doni”. Qualcuno in Europa si muova.

Più complicato sarà salvare l'8 dicembre. Quel giorno, io, cristiano, cattolico, apostolico romano farò festa. Ma trovo che sia umiliante per tutti i non credenti, per i credenti non cristiani e per gli stessi cristiani non cattolici che non credono nel dogma, recente e controverso dell'Immacolata concezione di Maria.

Trovo che sia giusto, a quel punto, che l'8 dicembre, quanti non professano la religione cattlica se ne vadano a lavorare, senza patire l'umiliazione di una vacanza che ferisce il loro senso di laicità.

A meno che non si voglia salvare in extremis la giornata di vacanza, cambiando però l'intitolazione della festa con qualcosa di laico, aconfessionale e politicamente corretto.

Per esempio, l'8 dicembre potrebbe essere la festa dei culi sodi.

E c'è ancora la spinosa questione della domenica. Continuare a imporre a tutti il riposo settimanale nel giorno della resurrezione di Gesù Cristo, un fatto metastorico senza alcun fondamento scientifico, è un'umiliazione per ogni spirito libero che non si può più tollerare.

Perchè non riposarsi i venerdì, come i musulmani? O il sabato come i fratelli ebrei? O un giorno a cazzo di cane quando uno ne ha voglia, come sarebbe giusto? E se proprio vogliamo convenzionalmente mantenere il riposo nel settimo giorno, potremmo almeno cambiargli nome, togliendo quel riferimento al “giorno del Signore” che, per citare la Corte europea, è “fastidioso per quelli che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei”.

Si potrebbe mutuare dalle lingue germaniche la dicitura di “Giorno del Sole”. O magari, visto che la domenica è importante per lo più perchè si gioca a calcio, lo si potrebbe chiamare “Pallonio”, per esempio.

Venerdì, sabato e pallonio non suona male, in effetti.

Insomma, c'è ancora tanto da fare.

E lo sa bene Soile Lautsi Albertin, cittadina italiana originaria della Finlandia che ha presentato il ricorso alla Corte di Strasburgo.

Già, la Finlandia. Che fa parte dell'Unione europea. E che la croce la espone addirittura nella bandiera.

È ora che finnici, svedesi, danesi, greci facciano sentire la propria voce contro questa palese violazione della laicità: una croce addirittura nella bandiera nazionale. Dai sessanta milioni di britanni, poi, che devono sopportare niente meno che una triplice croce nel proprio vessillo nazionale, è lecito aspettarsi un'insurrezione popolare.

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