lunedì 24 agosto 2009

Il partigiano anti-Chavez


Bene che vada, Roberto Micheletti Bain farà il presidente dell’Honduras per sette mesi al massimo, scadendo il suo mandato improrogabilmente il 27 gennaio 2010, giorno in cui egli consegnerà la fascia di capo dello Stato al vincitore delle presidenziali previste per il 29 novembre prossimo. Eppure sostenitori del deposto presidente Manuel Zelaya, capi di Stato dell’Alba (l’Alleanza bolivariana voluta dal venezuelano Hugo Chávez) e giornalisti italiani si permettono di offenderlo con il soprannome di “Pinocheletti”, evocatore del dittatore che con metodi brutali dominò il Cile per quasi 17 anni.
A volersi eternizzare al potere era in realtà il suo predecessore Zelaya, lo stesso uomo che oggi la comunità internazionale coccola come sfortunato presidente democratico esiliato. A imitazione del suo mentore Chávez, “Mel” aveva deciso di sbarazzarsi dei poteri intermedi e a colpi di plebiscito, sapientemente preparati da forzature costituzionali e compravendite di voti su larga scala con fondi dello Stato e dell’alleato venezuelano, di creare l’apparato giuridico che gli avrebbe consentito di essere rieletto all’infinito. Costituzione honduregna alla mano, le istituzioni hanno praticato l’autodifesa e sventato l’aggressione, con l’unico neo di una deportazione dell’ex presidente che chiaramente vìola un articolo della Costituzione stessa (il numero 102). Ma a parte questo, i poteri honduregni hanno agito nel pieno della legalità contro il presidente fellone, nonostante la comunità internazionale continui a pensare il contrario (solo Israele e Taiwan hanno finora riconosciuto il nuovo governo).
Micheletti somatizza all’estremo l’ingiusto giudizio che lo affligge: riceve l’inviato di Tempi accigliato, compulsa nervosamente il libretto della Costituzione honduregna, le cui pagine contenenti gli articoli che rappresentano la base legale della deposizione di Zelaya appaiono sgualcite e piene di orecchie, un fremito impaziente agita la gamba sinistra ad ogni domanda. Non ha l’eloquio del demagogo alla Zelaya o alla Chávez. Eppure questo figlio di un immigrato bergamasco che non ha mai preso la nazionalità honduregna, prigioniero di guerra negli anni Quaranta quando l’Honduras era ufficialmente in conflitto con l’Italia mussoliniana, è l’incarnazione modesta ma realissima della decenza istituzionale e della resistenza democratica a quel progetto autoritario e violento di portata continentale che va sotto il nome di Alba. L’Honduras è certamente, come gli altri Stati centroamericani, una “repubblica oligarchica” e per di più afflitta da alti livelli di corruzione (ma sempre meno di paesi dell’Alba come Venezuela ed Ecuador, a giudicare dalle classifiche di Transparency International), oggi però sta accumulando un merito storico, di cui un giorno gli stessi Stati sudamericani che lo stanno boicottando gli dovranno essere grati: è il primo paese dell’America latina che oppone resistenza all’egemonia chavista, che blocca e inverte la sua finora inarrestabile espansione. Micheletti sarà presidente per sette mesi al massimo, ma, se la Provvidenza lo assiste, sarà ricordato a lungo per questo motivo.

Articolo tratto da qui nel quale potrete seguire anche una bella intervista esclusiva al Presidente Micheletti su quello che sta succedendo in Honduras.

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