lunedì 31 agosto 2009

CERTI COMUNISTI MENTONO E NON RINUNCIANO MAI ALLE FIGURACCE

Mario Adinolfi (giornalista, PD) aveva pubblicato la notizia già nel 2005.

Pare che - 20 settembre 2005
"Pare che il direttore di un quotidiano cattolico abbia ricevuto un decreto penale di condanna. Ma non oggi, l'anno scorso. Tutti i giornali ne sono a conoscenza, a Roma se ne chiacchiera con gusto giusto da un anno, ma per quello strano patto che fa sì che i direttori di giornali si proteggano tra loro, sui giornali non troverete una riga sull'argomento.

Il decreto penale di condanna è il 241 dell'annus domini 2004, reso esecutivo il primo di ottobre dello stesso anno. Il tribunale che l'ha emesso è il tribunale di Terni e il giudice che l'ha firmato ha uno strano cognome, da ironie del destino: Fornaci.

E' lo stesso Fornaci a firmare il 23 agosto 2005 una strana risposta all'istanza di chi chiede formalmente di conoscere gli atti del procedimento. Fornaci scrive che sì, è vero che esiste un articolo del codice di procedura penale (il 116, per la precisione) che afferma che possa accedere agli atti di un procedimento penale "chiunque vi abbia interesse"; ma in questo specifico caso prevale "una prioritaria tutela del diritto alla riservatezza delle parti (imputato e parte offesa) le cui pregresse vicende interpersonali rischierebbero di determinare - se divulgate - un irreparabile danno alla persona".
Insomma: i giornali non ne scrivono, per un anno la storia riesce a rimanere sepolta, il tribunale si barrica dietro ad una fantomatica tutela del diritto alla riservatezza dell'imputato. Ma qui monta la curiosità. C'è un direttore di un quotidiano cattolico che subisce un decreto penale di condanna di cui non si può sapere nulla perché altrimenti le "pregresse vicende interpersonali" tra lui e la parte offesa gli creerebero dei danni.
Direttore, vuole raccontarci lei cosa è successo?"

Quindi Vittorio Feltri non ha inventato un bel niente.
Ora per onestà intellettuale vada a correggere il suo blog, se ha fegato.
LA CLAVA MEDIATICA: CLAMOROSO, IL CASO BOFFO E' UNA BUFALA INVENTATA DA IL GIORNALE

O forse la vostra tanto sbandierata libertà di stampa serve solo per infangare una certa parte politica?

Boffo si dovrebbe vergognare... L'Avvenire , seguendo la linea cattolica, ha da sempre criticato le scelte omosessuali e le coppie gay; adesso si scopre che il suo direttore e' un noto omosessuale che insidia un uomo sposato con una regolare famiglia...

2 commenti:

  1. Intervista a Mario Adinolfi PD, ex giornalista di Avvenire.
    Appena ha letto la risposta ai lettori di Dino Boffo su Avvenire si è riconosciuto subito nell’identikit del «molto informato» ex collaboratore di Avvenire che per «saldare qualche vecchio conto» sparge fango sul suo ex direttore. «Parlava di me, ho collaborato con la pagina politica del suo giornale per tre anni e mezzo, senza contratto, e per primo sul mio blog ho scritto della sua condanna per molestie. Ma è tutto vero, altro che patacche o veline. Invece di parlare di attacchi disgustosi Boffo dovrebbe raccontarci la verità. La privacy per un uomo pubblico come lui non può diventare un paravento da ipocriti». Mario Adinolfi, esponente Pd di fede franceschiniana, non è né un mangiapreti né un berlusconiano. Cattolico (militava nella Margherita, ha lavorato per la Radio Vaticana), feroce sostenitore del Noemi-gate, ora assiste con imbarazzo alla fulminea conversione anti gossip del suo partito sul Boffo-gate: «Il Pd dovrebbe difendere la libertà di informazione sempre, non solo per la stampa amica. Feltri ha scritto di fatti incontrovertibili e ha rotto il muro di omertà sulle relazioni omosex del direttore di Avvenire. La sentenza di Terni è un fatto, una notizia che in qualsiasi paese del mondo sarebbe finita immediatamente in pagina».
    Ma come Adinolfi? Anche lei, già aspirante segretario del Pd, si mette a spacciare patacche?
    «Macché patacche, qui c’è una sentenza di un tribunale e di quella si deve parlare. L’ho scritto il 20 settembre del 2005, raccontando il fatto. Nessuno allora mi diede del pataccaro, non ebbi querele né atteggiamenti di risentimento. Forse perché pensavano che la cosa potesse rimanere sotto silenzio».
    Lei chiese quei documenti al gip di Terni, Augusto Fornaci.
    «Formalmente, per iscritto. Andai di persona a Terni e la cancelleria identificò gli estremi della sentenza. Ma poi, quando capirono a chi si riferiva, mi negarono il documento».
    Con che motivazioni?
    «Dicendo che quella vicenda coinvolgeva “relazioni interpersonali pregresse” e che quindi gli atti non potevano essere resi pubblici».
    Anche se c’è un articolo di legge per cui gli atti di un procedimento penale dovrebbero essere accessibili.
    «Certo, e questo dice qualcosa sulla magistratura italiana».
    Boffo risponde: è una montatura giornalistica.
    «Invece il decreto penale di condanna è un fatto. E l’informativa, che non conosco e che ho appreso dal Giornale, corrisponde sicuramente a quel che è noto dei comportamenti di Boffo».
    Vuole forse vendicarsi di Boffo perché non l’ha mai assunta all’«Avvenire»?
    «Ma per favore. Lo dico pasolinianamente: non è una battaglia sulla persona ma sulle idee. A Boffo va il mio pensiero cristiano, perché immagino la sua vergogna e il suo dolore. Quello che è inaccettabile è che in Italia la verità diventi sempre pirandelliana, per cui ce n’è una, nessuna e centomila. Non è così, la verità è una sola e in questo caso è molto chiara. E poi, tirare in ballo i morti mi è sembrato una difesa sconvolgente da parte di un cristiano».
    I morti?
    «Boffo dice che le telefonate moleste partivano dal suo cellulare ma non era lui a farle, bensì un ragazzo, che guardacaso però è morto e non può più smentire.Lei è colpevolista.
    «No, ma quella è una giustificazione che mi inquieta molto. Boffo, per fugare i dubbi, invece di sbraitare potrebbe raccontare in prima persona quella vicenda. Spiegare perché nei confronti di quella donna sono stati pagati dei soldi. È lei la vera vittima in tutta questa vicenda».

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  2. Si parla di privacy violata.
    «La privacy dei personaggi pubblici non esiste, hanno dei doveri di coerenza che ho reclamato molto duramente per Berlusconi. E se uno predica moralità e sobrietà dei costumi deve essere sobrio nei costumi. È un’ovvietà».
    Libertà di inchiesta per tutti, non solo per «Repubblica», quindi?
    «Certo, pretendo che la mia parte politica sia onesta e difenda la libertà di informazione di tutti, anche dei giornali non schierati con noi. C’è un problema intellettuale a sinistra, questa ipocrisia va superata».
    La Cei ha reagito duramente.
    «L’ipocrisia invece fa male soprattutto alla credibilità della Chiesa. Se si comporta come un potere, perde di forza. È questo il male che stanno facendo Dino Boffo e chi lo copre. Quando si sale su una cattedra morale bisogna essere degni di quella cattedra».

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